La prostituzione sacra


Molto diffusa era in passato la prostituzione sacra, donne e uomini si consacravano alla divinità, di solito a Venere, dedicandole il sesso più sfrenato. Vediamo come veniva consumata la prostituzione sacra presso le antiche popolazioni.

I Greci portavano in processione il fallo come simbolo di fecondità nelle feste di Priapo, il dio dell’Olimpo dotato di un pene enorme e di Dioniso, il dio del vino e del delirio mistico.

Le sacerdotesse Egizie, che erano anche ancelle, erano scelte tra le donne più belle ed erano considerate delle superfemmine venute al mondo per dare piacere. Donare agli dei la parte più intima del corpo femminile, più fragile rispetto a quello maschile, costituiva una prova di dedizione completa alle divinità ed il massimo di generosità verso il prossimo.

In Babilonia, scriveva Erodoto, vigeva una legge iniqua, in base alla quale ogni donna doveva recarsi, almeno una volta nella vita, al tempio di Venere e qui abbandonarsi agli amplessi dello straniero che l’avesse richiesta. Ricche o povere, belle o brutte, tutte dovevano recarvisi. Lo straniero, prima dell’amplesso, doveva gettargli del denaro e urlare “io invoco la dea Mylitta” (nome che gli Assiri davano a Venere). Anche se veniva offerto poco denaro, non poteva essere respinto perchè era sacro. La donna non poteva uscire dal tempio se non avesse avuto almeno un amplesso con almeno uno straniero. Così le donne belle vi restavano poco tempo, ma le brutte erano costrette a rimanervi a volte anche tre o quattro anni. La sacerdotessa doveva vestire una cintura di corda che era l’emblema della verginità, l’uomo la doveva afferrare per la fune e trascinarla tra i boschi circostanti il tempio. Il sacrificio sarebbe stato tanto più gradito alla dea quanto più la corda fosse stata spezzata con forza, il che rappresentava una grande passione.

In Armenia la prostituzione sacra era dedicata alla dea Anaitide. Al tempio di Anaitide potevano accedere solo i forestieri e solo ad essi era concesso l’amore sacro delle sacerdotesse, benché fosse un amore mercenario. Gli stranieri che chiedevano amore venivano ricambiati, oltre che con la prestazione sessuale, anche con doni di grande valore. Le sacerdotesse erano scelte tra le famiglie più nobili, ed erano tenute a rimanere nel tempio per un tempo determinato. Maggiore era il numero di stranieri ai quali si fossero concesse, più alto era il loro vanto degli uomini che le avessero sposate successivamente. Infatti, le sacerdotesse che avevano amato molti uomini erano considerate esperte nell’arte di dare piace.

A Cipro, presso i Fenici, la dea Venere si chiamava Astarte, ed era una divinità bisessuale, che poteva rappresentare indifferentemente Venere o Adone, gli ideali della bellezza maschile e femminile. La duplicità della dea derivava dall’abitudine delle popolazioni di quelle terre di travestirsi ed di abbandonarsi ad orge ed amplessi di ogni genere. Dalla generale promiscuità di quei riti venivano alla luce una quantità enorme di bambini, la cui ricerca della paternità era impossibile. I bimbi venivano poi fatti crescere nei templi dedicati ai riti di Astarte e da grandi erano destinati a diventare anche loro maestri di dissolutezze.

Nei pressi di Cartagine sorse un tempio dedicato ad Astarte dove le vergini Cartaginesi offrivano a pagamento la propria castità ed il proprio corpo finché non avessero accumulato una buona dote. Una volta sposate diventavano donne oneste e fedelissime e i loro mariti parlavano con vanto dei loro trascorsi sessuali.

Le Amazzoni, donne guerriere della Cappadocia, sulle rive del Mar Nero, avevano escluso gli uomini dal loro Stato. Per avere figli andavano a farsi fecondare presso i popoli vicini, ma allevano solo le femmine, alle quali bruciavano il seno destro perché fossero libere di utilizzare l’arco. Consumavano la loro vita nella caccia agli animali e in particolare agli uomini, che consideravano nemici.

I Persiani coinvolgevano nelle orge sacre le mogli e persino le proprie figlie. Queste donne e ragazze, che normalmente vestivano nelle loro abitazioni in maniera molto castigata con vesti che coprivano l’intero corpo fino ai piedi, quando partecipavano ai festini si abbandonavano alla sfrenatezza più totale: si toglievano ogni velo, si incoronavano il capo di fiori e si congiungevano con chiunque lo avesse chiesto. Si gettavano senza alcun pudore in amplessi in presenza di mariti, fratelli e figli. A volte, nella confusione generale, si congiungevano anche con questi. Nelle orge non c’era più distinzione di età, sesso e casta, tutti i partecipanti raggiungevano il massimo di oscenità nella più aberrante promiscuità.

Le sacerdotesse di Osiride, dio della generazione e della vita, marito di Iside, erano principalmente fallofore. La falloforia o fallogogia era una processione nella quale si portava solennemente in giro per la città un grande fallo, simbolo della forza generatrice della natura. Con un sistema di corde abilmente tese, le sacerdotesse movimentavano l’enorme fallo, simulacro del dio, invitando tutte le donne ad adorarlo. Le sacerdotesse invocavano il fallo di dimensioni enormi a favore della conservazione della vita. Stuoli di sacerdoti precedevano il simulacro cantando inni speciali, altri lo seguivano recando cesti di fiori e di frutta. Osiride doveva spargere sulla terra il dono della sua virtù spermatica e far compiere il miracolo della fecondazione nel grembo delle madri. Il bue era un animale sacro per i suoi evidenti attributi virili. Le cerimonie di adorazione prevedevano che le donne si togliessero ogni velo dinanzi al bue sacro, restando nude in atto di omaggio verso la divinità.

Oggi è impensabile l’esistenza di forme di prostituzione sacra. Taluni ravvisano forme larvate di prostituzione sacra negli atti indotti dalle guide spirituali che, nel segreto del confessionale invitano le donne a confidare i loro più intimi segreti e i comportamenti più intimi commessi con mariti e fidanzati. Una vasta letteratura testimonia che sovente le vergini imparano gli usi e gli abusi del sesso dai loro stessi confessori. L’autorità che quest’ultimi possiedono si trasforma in una vile occasione obbligante a cui difficilmente una fanciulla timida riesce a sottrarsi, restando vittima di pretonzoli bavosi e lascivi, approfittatori della buona fede altrui.

Fonti consultate: Le puttane degli Dei. G. Di Capua.La prostituzione sacra. R. Osso Pircali Il Tantrismo, il gioco della Dea. M.Albanese


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